La Corte di Cassazione con sentenza n. 21540 del 20 agosto 2019 ha statuito che non vanno assoggettati a contribuzione della Gestione Commercianti i redditi derivanti da partecipazione a società di capitali (come le S.r.l.), smentendo quanto sostenuto dall’Inps con la circolare n. 102 del 12/6/2003 ed avallando la tesi da sempre sostenuta da questo studio legale e dai Consulenti del lavoro.
L’art. 3 bis del D.L. n. 384 del 1992 convertito in Legge 438/1992, prevede che i contributi previdenziali degli artigiani ed esercenti attività commerciali vanno rapportati alla totalità dei redditi di impresa denunciati ai fini Irpef per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono.
In considerazione del rinvio alle norme fiscali per l’individuazione del reddito d’impresa è necessario far riferimento al DPR 917/1986 (TUIR), che all’art. 44 ricomprende tra i redditi di capitale gli utili da partecipazione alle società soggette ad IRES.
Diversamente, per i soci di società di persone il DPR prevede l’applicazione del principio della trasparenza fiscale, in forza della quale i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice sono imputati a ciascun socio indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione (art. 5 DPR 917/1986). È altresì previsto (art. 6 DPR 917/86) che tali redditi sono considerati redditi di impresa.
Quindi la normativa previdenziale (art. 3 bis L. 438/1992) individua come base imponibile contributiva la totalità dei redditi di impresa, così come definita dalla disciplina fiscale.
Dal quadro normativo sopra delineato è di tutta evidenza l’erronea interpretazione dell’Inps che ritiene di assoggettare a contribuzione anche i redditi di partecipazione dei soci di società a responsabilità limitata.
Infatti la Corte di Cassazione nel ritenere infondato il motivo di ricorso dell’Inps ha ritenuto, in punto di diritto che “al fine di individuare quale sia il reddito d’impresa rilevante ai fini contributivi, occorre quindi per coerenza di sistema fare riferimento alle norme fiscali e dunque in primo luogo al testo unico dell’imposte sui redditi, DPR 22.12.1986 N. 917. Il suddetto DPR contiene distinte disposizioni onde qualificare i redditi d’impresa rispetto ai redditi di capitale: i primi a mente dell’art. 55 sono quelli che derivano dall’esercizio dell’attività imprenditoriale, mentre l’art. 44 lettera e) ricomprende tra i redditi di capitale gli utili da partecipazione alle società soggette ad Ires. Poiché la normativa previdenziale individua, come base imponibile sulla quale calcolare i contributi, la totalità dei redditi d’impresa così come definita dalla disciplina fiscale e considerato che secondo il testo unico delle imposte sui redditi gli utili derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa, sono inclusi tra i redditi di capitale, ne consegue che questi ultimi non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi INPS. La soluzione che qui viene adottata è del tutto coerente con l’impostazione del sistema come delineata dall’art. 38 comma 2 della Costituzione, che prevede che la tutela previdenziale spetti ai lavoratori, non a coloro che i limitino ad investire i propri capitali a scopo di utile.”.
L’Inps ancora una volta ha dimostrato di sostenere tesi assurde che hanno causato notevoli problemi agli iscritti alla Gestione Artigiani e Commercianti, emanando circolari che contrastavano nettamente con il dettato legislativo.
Ci auspichiamo che la Direzione Generale in seguito a questa chiara sentenza emani una circolare per adeguarsi al principio di diritto sancito dalla Cassazione, evitando di vessare ulteriormente i contribuenti.